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to all'aperto.»
Di solito impiego una mezz'oretta per arrivare a Mitchellville, ma quella sera
ci misi meno di quindici minuti. Tutta la strada era piena di fari lam-
peggianti. Due auto della polizia erano parcheggiate davanti all'abitazione di
Christine. Stava diluviando.
Balzai fuori della Porsche e raggiunsi di corsa la veranda. Un agente dal-
l'aspetto massiccio, con un impermeabile blu scuro, alzò una mano a inti-
marmi l'alt.
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«Sono il detective Alex Cross della polizia metropolitana. Sono un buon amico
di Christine Johnson.»
L'agente annuì e non mi chiese neppure di mostrargli il distintivo. «Mrs.
Johnson è dentro, con gli altri miei colleghi. Sta bene, detective. Anche il
bimbo.»
Già da lì riuscivo a sentire il piccolo Alex che piangeva. Quando entrai in
salotto, vidi due uomini di pattuglia con Christine. Lei, fra un singhioz-
zo e l'altro, parlava concitatamente coi poliziotti.
«È qui! Credetemi. Geoffrey Shafer... la Donnola! È qui, da qualche par-
te!» gridava, tormentandosi i capelli con le mani.
Il bimbo frignava nel suo lettino. Mi avvicinai a lui e lo presi in braccio.
Il piccolo Alex si calmò immediatamente. Tenendolo fra le braccia, mi di-
ressi verso Christine e i due agenti.
«Di' loro di Geoffrey Shafer», mi supplicò Christine. «Spiega che cos'è
già accaduto.
Quanto è folle quell'uomo!
»
Mi presentai agli agenti e raccontai loro la storia dell'orribile rapimento di
cui era rimasta vittima Christine, poco più di un anno prima, alle Ber-
muda. Benché avessi narrato la vicenda per sommi capi, alla fine loro an-
nuirono. Avevano afferrato il succo della questione, avevano capito.
«Ricordo di averlo letto sul giornale», disse uno dei due. «Ma il guaio è
che non ci sono prove che qualcuno sia penetrato in questa casa, stanotte.
Abbiamo controllato tutte le porte, le finestre e il terreno circostante.»
«Vi dispiace se do un'occhiata in giro?» chiesi.
«Assolutamente no. Aspetteremo qui con Mrs. Johnson. Faccia pure con calma,
detective.»
Affidai il bimbo a Christine, poi perlustrai la casa da cima a fondo.
Guardai dappertutto, ma non trovai alcun segno di effrazione.
Mi aggirai nel terreno che circondava l'edificio, dove, sebbene il suolo fosse
bagnato, non trovai alcuna impronta recente. Dubitai che Shafer si fosse
aggirato lì attorno, quella notte.
Quando tornai in salotto, Christine e il bambino erano accoccolati sul divano,
in silenzio.
I due agenti aspettavano fuori, sulla veranda. Uscii e parlai con loro.
«Posso essere sincero?» disse uno dei due. «Non è che Mrs. Johnson a-
vrà avuto un incubo? Questa storia ne ha tutta l'aria. Lei insiste nell'affer-
mare che quel tizio, Shafer, era in casa, anzi in camera da letto, ma noi, de-
tective, non abbiamo trovato nulla che possa suffragare una simile versio-
ne dei fatti. Le porte erano chiuse a chiave, l'allarme inserito. Mrs. Johnson
va soggetta a incubi?»
«Sì, di tanto in tanto. Ultimamente, soprattutto. Grazie per il vostro aiu-
to. Andate pure, adesso a lei bado io.»
Dopo che le auto della polizia si furono allontanate, rientrai in casa per
fare compagnia a Christine. Sembrava essersi un po' calmata, ma i suoi oc-
chi erano colmi di tristezza.
«Che cosa mi sta accadendo?» mi chiese. «Voglio rientrare in possesso della
mia vita.
Non riesco a riprendergliela.
»
Non lasciò che l'abbracciassi, neppure in quel momento. Non accettò di
sentirsi dire che poteva aver semplicemente sognato Geoffrey Shafer, la
Donnola. Mi ringraziò per essere accorso così tempestivamente, quindi mi pregò
di tornare a casa.
«Non c'è nulla che tu possa fare per me», disse.
Baciai il bimbo, quindi tornai a casa mia.
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In quella rapina, i membri della banda si chiamavano ancora coi nomi di
Mr. Blue, Mr. White, Mr. Red e Ms. Green. Alle sette in punto, Mr. Blue era
appostato nella fitta abetaia che sorgeva alle spalle di una casa, nella parte
del Woodley Park che ricadeva sotto la giurisdizione di Washington.
Come aveva fatto nelle tre mattine precedenti, il direttore di banca Mar-
tin Casselman lasciò la propria abitazione alle sette e venti circa. Prima di
salire in macchina, si guardò nervosamente attorno. Forse era preoccupato,
dopo le recenti rapine in banca avvenute nel Maryland e in Virginia. Erano
ancora molti i funzionari come lui che temevano di trovarsi coinvolti in una
vicenda analoga.
La moglie di Casselman insegnava al liceo di Dumbarton Oaks. Era do-
cente d'inglese, materia che Mr. Blue aveva sempre detestato. Mrs. C sa-
rebbe uscita di casa, per andare al lavoro, un attimo prima delle otto. En-
trambi i coniugi Casselman erano precisi e prevedibili, il che rendeva le cose
più semplici.
Blue si accovacciò accanto a un vecchio olmo morente, in attesa di rice-
vere una telefonata sul cellulare. Per il momento tutto era in perfetto orario
e lui si sentiva assolutamente tranquillo. Circa otto minuti dopo che Martin
Casselman se n'era andato, il telefono squillò. Blue premette il pulsante di
risposta.
«Qui Blue. Parla pure.»
«Mr. C è arrivato al nostro appuntamento. In questo istante è nel par-
cheggio. Passo.»
«Ricevuto. Non vedo intoppi al mio incontro con Mrs. C.»
Blue aveva appena finito di premere il tasto che interrompeva la comu-
nicazione quando vide Victoria Casselman uscire dalla porta principale
della casa e chiuderla a chiave. Indossava un abito rosa e gli fece venire in
mente Farrah Fawcett nei suoi giorni migliori, «Che diavolo sta combinando?»
si chiese, stupito. In quella vicenda non erano previste sorprese di alcun
genere. Il Mastermind aveva presumibil-
mente valutato ogni minimo particolare, alla perfezione.
Ma ora la perfe-
zione andava a farsi benedire.
Mr. Blue s'incamminò frettolosamente nel groviglio di piante ed erbe alte che
lo separava dalla casa dei Casselman.
Si rendeva già conto che non sarebbe riuscito a farcela.
Errore.
Mio o di quella donna?
Di entrambi! Stamattina lei è uscita prima del solito. Mi ha spiazzato!
Cominciò a correre verso Hawthorne Street, ma la donna era già salita a bordo
della sua Toyota Tercel nera e stava retrocedendo lungo il vialetto.
Se avesse svoltato a destra, tutto sarebbe andato completamente all'aria. Se
invece avesse preso a sinistra, lui aveva ancora una possibilità di riprende-
re in pugno la situazione.
Dài, Farrah, tesoruccio, gira a sinistra!
Mr.
Blue stava cercando di pensare a qualche frase da urlarle... qualcosa che la
facesse inchiodare. Ma che cosa?
Su, forza, spremiti le meningi.
Brava ragazza! Aveva svoltato a sinistra, però lui ancora temeva di non
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riuscire a raggiungere quella dannata strada in tempo per fermarla.
Accelerò al massimo l'andatura, chinando la testa. Sentì un'improvvisa vampata
di calore sprizzargli nel torace. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in
cui aveva corso in maniera così forsennata.
«Ehi! Ehi! Mi aiuti!» urlò a squarciagola. «La prego, mi aiuti! Soccor-
so!»
Quando Victoria Casselman udì quelle grida riecheggiare nella sua stra-
da, voltò la testa dai folti capelli biondi. Ridusse leggermente la velocità,
ma senza fermarsi.
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