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cucinava; poche cose, ma per lei era importante. Una sera è tornata a casa, era
agitatissima, sembrava spaventata.
Che le è successo?
Non lo so. Non ha più parlato, ha smesso di sorridere, è diventata violenta,
senza motivo. L abbiamo dovuta mandare in un istituto di suore, un manicomio con
un altro nome.
Cristo. E secondo lei c entra Olegario?
Sono sicuro. Per questo vorrei farle un regalo. Dalla tasca del grembiule
l uomo, che era stato un barista ma che ora era un nonno, estrasse un coltello con
l impugnatura in micarta nera. L ho comprato a Vicenza, quando Letizia è entrata
in istituto. Volevo usarlo io un giorno o l altro, ma, forse, sono troppo vecchio.
Grazie, ma come fa a sapere che Olegario è un mio nemico? Ha ascoltato la
telefonata? Eppure al telefono non ho detto niente di compromettente.
Non c è bisogno di ascoltare. Noi vecchi, qui, siamo tutti sordi, no? Basta
capire.
Grazie.
No... sorrise ... grazie a lei.
Cosa voleva? mi chiese Pogo.
Niente. Mi ha fatto un regalo.
Un portachiavi o un agenda per l anno nuovo?
Meglio: un motivo in più.
Pogo piantò la macchina di fronte alla 01 Oil. E adesso?
Credo che Toni dorma lì dentro. Non abbiamo una scala e il cancello è
troppo alto. L unico modo per entrare è farsi aprire la porta.
E sopraffare il vecchio?
Non l hai visto. È una specie di yeti. Ho un idea migliore: tu bussi al
cancello, poi indietreggi e lo lasciamo uscire. Mentre Toni esce, io, che mi sono
addossato all edificio, cerco di sgattaiolare dentro. Intanto tu lo trattieni.
E questo lo chiami un piano?
La fortuna aiuta gli audaci.
E la sfiga perseguita i piani del cazzo.
Hai un idea migliore?
Ogni idea è migliore di questa, solo che al momento non mi vengono in
mente. Sei sicuro che la fortuna aiuti gli audaci?
Così si dice. Non ho mai sentito dire, che so, la fortuna aiuta i froci o la
fortuna aiuta i sindaci . Ci deve essere un motivo, no?
Se lo dici tu.
La fortuna aiutò gli audaci che apportarono qualche miglioria a un piano pieno
di buchi come uno scolapasta. Pogo nel suo bel taxi giallo strombazzò con insistenza.
Io, appiattito al muro vicino al cancello, attendevo fiducioso. L assolo di clacson durò
a lungo.
Probabilmente Toni era così ubriaco da sognare in un sonno etilico un
tamponamento che giustificasse la componente sonora del proprio sogno. Pogo non si
diede per vinto. L urlo del clacson diventò un lamento. Finalmente, dopo un quarto
d ora, Sesamo cigolando si aprì. Ero a pochi centimetri da Toni, ma la sua attenzione
era catalizzata dai fari accesi dell auto di Pogo.
Bestemmiando si avviò verso il taxi. Ne approfittai per introdurmi nell edificio.
Mi muovevo alla cieca. Attraversai il cortile di corsa, verso la luce di una palazzina
all interno. Il mio piede incontrava ora terriccio ora una strana pavimentazione. Pestai
qualcosa di morbido sperando fosse merda: dicono che porti fortuna. Non era merda.
La merda non morde. Era la coda d un cane. Rimpiansi di non aver pensato di
portarmi una pila o del siero antitetanico. I denti aguzzi equivocarono il mio polpac-
cio per un breakfast. In fondo il cane si era appena svegliato, malgrado gli strombaz-
zamenti davanti al cancello. Urlai. Il cane non voleva saperne di mollare la presa. Un
rumore di catena e anche l altro pastore tedesco si fiondò nella mia direzione. No,
non erano pastori tedeschi. La dominante apparteneva a quella razza, ma qualche
strano incrocio aveva imparentato la specie con una dinastia di piraña. Mi ripugnava
usare il coltello per sgozzare un cane, il dolore però non aveva i miei scrupoli. Con
una mano afferrai il collare e con l altra il coltello. Avvicinai la lama alla gola, poi,
con quei repentini mutamenti d umore che mi caratterizzano, lasciai che le mie dita si
serrassero sull acciaio. La lama divenne impugnatura, l impugnatura lama. Mentre il
secondo cane si faceva avanti ostacolato dalla catena del primo, colpii il naso del mio
aggressore usando l impugnatura come tirapugni.
Guaì e mollò la presa. Mi lasciai rotolare lontano, dando l addio al coltello e a
un paio di pantaloni di velluto a coste. Sanguinavo da una mano e da un polpaccio. Il
clacson aveva smesso di suonare. Pogo, all avvicinarsi di Toni, era sgommato via.
Mi rialzai dirigendomi verso la cucina. La porta era aperta. Il locale, vasto e
squallido, doveva fungere da alloggio a Toni. Può la camera di un ubriacone essere
arredata sobriamente ? Una branda, una bottiglia di vino, una pila di riviste porno-
grafiche, un cucinino, un tavolo, tre sedie, un televisore acceso sintonizzato su un
incontro di wrestling. Vincendo la ripugnanza per i germi di Toni mi attaccai alla
canna della sua bottiglia. Utilizzai il vino come disinfettante. Se non funzionava per
le ferite al polpaccio era utilissimo per le ferite dell anima.
La televisione è uno strumento diabolico: nonostante i guai in cui mi trovavo
mi lasciai ipnotizzare dai due ciccioni seminudi che, sullo schermo, fingevano di
odiarsi a morte. In realtà si odiavano a vita. Per contratto. Sapevo di dovermene
andare prima che Toni tornasse, ma, non so se per dolore, per stanchezza escluderei
l interesse per i lottatori mi abbandonai sul letto sfatto fissando lo schermo. Toni
irruppe nel suo nido violato, maestoso e ottuso come un macigno.
Mi rialzai mentre caricava. Riuscii a schivare l impatto e Toni rovinò sul letto.
I suoi occhi da squalo ubriaco ricevettero il messaggio di un lento cervello: la preda
era agile. Bisognava osservarla con attenzione. La pila accesa di Toni sembrava un
attrezzo da culturista. Me la lanciò addosso. La evitai. La pila, pur cadendo al suolo,
non volle saperne di spegnersi.
Toni era un ex pugile. Gli era rimasto un bel gioco di gambe. Gli indirizzai un
montante sinistro al tronco.
Di cuore Toni ne doveva aver poco. La bocca dello stomaco era digrignata.
Non mi restava che colpirlo al fegato che, a causa di un etilismo gradasso, era il
bersaglio più grosso. Accusò il colpo. Erano lontani i tempi in cui avevo tirato di
boxe. Il fiato se ne era andato col primo amore. Del resto il primo amore ti lascia
senza fiato. Toni bloccò il mio pugno con il palmo della mano destra. Indietreggiai.
Partì con un gancio sinistro al mento. Schivai flettendo il tronco indietro. Anche lui
sbuffava, ma ciò non mi era di alcun conforto. Un incontro di boxe a mani nude
poteva essere più letale dei cani strappati al sonno.
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